Il missionario dei lazzari napoletani
Sant’Alfonso Maria de Liguori contro Illuminismo, Giansenismo e Regalismo
carta geografica del Regno di Napoli Il 29 settembre 1696 a Marianella, allora località di villeggiatura, da don Giuseppe de’ Liguori, Capitano della nave ammiraglia del Re, e da donna Anna Cavalieri, nasceva Alfonso, confortato dalla profezia del santo gesuita Francesco di Gironimo: Questo figliolo vivrà vecchio vecchio, né morirà prima dei 90 anni; sarà vescovo e farà grandi cose per Gesù Cristo.

Alfonso fu un bambino di sveglia intelligenza, pronto ad apprendere tutto; all’educazione religiosa provvedeva la madre: Quando di bene riconosco in me nella mia fanciullezza - più tardi ricorderà – e se non ho fatto del male, di tutto sono tenuto alla sollecitudine di mia madre.

Studiò lingua italiana e latina da Gianbattista Vico, filosofia, scienze (geografia e cosmografia), poesia, musica col valente maestro Greco. Più tardi egli metterà queste doti a servizio della pietà popolare.

A soli sedici anni, il 21 gennaio 1713, Alfonso fu proclamato dottore in legge. Non potendo per divieto di legge esercitare prima dei vent’anni l’ufficio di avvocato, il giovane Alfonso si dedicò alla vita sociale e religiosa con intensità; venne a contatto col mondo politico, allora come sempre pieno di intrighi e compromessi, per la sua carica di Deputato Governatore del Sedile Portanova (il Sedile era come un quartiere della città che si governava con una certa autonomia). Ma non mancò di mescolarsi al popolo minuto e di dedicarsi alle opere di assistenza agli ammalati ed ai poveri. La pratica religiosa che più lo attirava era la visita al Santissimo Sacramento e la quotidiana visita agli Incurabili.

Le cause patrocinate da Alfonso erano state tutte coronate da successo; nel 1723 gli fu offerta la difesa del duca Orsini di Roma, in lite col Granduca di Toscana per rivendicare una tenuta di ingente valore (cinque/seicentomila ducati). Alfonso si preparò con puntigliosità. Il giorno del dibattito l’aula del tribunale era gremitissima. L’arringa di Alfonso mostrò una sbalorditiva padronanza delle leggi sui diritti feudali e fu coronata da un fragoroso applauso, che faceva bene sperare nel successo. Poi la doccia fredda, anzi gelata: i giudici diedero ragione al Granduca, che… era raccomandato dall’imperatore d’Austria. La delusione fu tale che Alfonso prese la sua decisione: Mondo, mondo, ti ho conosciuto; tu non fai più per me. Addio, tribunali, non mi vedrete mai più. Nella chiesa della Mercede depose il suo spadino sull’altare, consacrandosi alla Madonna.

Quando il 21 dicembre 1726 fu consacrato sacerdote, aveva le idee chiare: dedicarsi alla povera gente,immersa (allora ed oggi più che mai!) in un mare di ignoranza religiosa, nonostante il grande numero di preti presenti a Napoli. Affrontò l’apostolato tra i poveri di Napoli. I rioni più popolari lo ebbero missionario instancabile. I centri della malavita napoletana subirono l’influenza risanatrice della sua opera. C’era sempre molta gente intorno al suo confessionale, da dove molti ritornavano convertiti. Erano frequenti i casi di delinquenti che si ravvedevano, anzi divenivano i suoi migliori discepoli e collaboratori. Pietro Barbarese e Luca Nardone ne furono i casi più clamorosi.

Organizzò l’Opera delle Cappelle serotine, dove di sera adunava gente del popolo: lazzari, scugnizzi, saponari, muratori, barbieri, falegnami, operai, per istruirli ed animarli alla vita cristiana, ma senza eccessi rigorosi. Fu un fenomeno sociale di notevole portata, protetto e favorito dal cardinale e dal re: in quasi 110 Cappelle Serotine, l’Opera contava ben 34mila soci.

Predicò poi molte missioni, sia nel circondario di Napoli che nel resto del Regno. Nel 1730 evangelizzò i rozzi pastori e numerosi montanari di Scala, nei pressi di Amalfi.

Il 9 novembre 1731 fondò la Congregazione del Santissimo Redentore, che aveva lo scopo di portare la missione popolare alle persone più abbandonate ed emarginate, invitate a rispondere agli appelli dell’amore divino. Le prediche non dovevano incutere il terrore, ma spingere alla conversione alla divina misericordia. Tutto il Regno di Napoli e le zone limitrofe dello Stato Pontificio furono percorsi dalle missioni redentoriste.

Sant’Alfonso ha anche scritto moltissimo: 111 opere. La grandiosa Teologia Morale, le Massime eterne, l’Apparecchio alla morte, La pratica di amar Gesù Cristo, Le Glorie di Maria e tantissime altre opere.

Ingaggiò una lotta formidabile contro i tre maggiori mali del 1700: l’ateismo illuministico, il giansenismo ed il regalismo. Nel 1756 pubblicò una Breve dissertazione contro gli errori dei moderni increduli, oggidì nominati materialisti e deisti, nel 1767 la Verità della fede contro i materialisti, i deisti e i settari, con una confutazione di Helvetius. In queste opere Sant’Alfonso scrive che “altra volta gli atei si nascondevano per non esser trattati da pazzi: ai giorni nostri si mostrano senza vergogna, si erigono a censori della religione, si levano contro lo stesso Dio, del quale osano negar l’esistenza per passare da spiriti forti e da uomini senza pregiudizi. In sostanza, quello a cui mirano è di liberarsi da ogni legge morale, poiché sparito Iddio rimuneratore e vendicatore, abolite le verità della religione cristiana,l’uomo diviene simile o anche inferiore al bruto, non riconoscendo altro diritto che la forza, né altra regola che il piacere”. Definì i libri di Voltairè infami, pieni di eresie, di menzogne e di confusioni; attaccò ugualmente la “religione naturale” propugnata dal ginevrino Rousseau, che nel suo Emilio propugna la “vera e sola religione che non è soggetta a fanatismo (cioè, alla rivelazione!)”. Per il Santo napoletano la sola religion naturale non basta all’uomo per fargli conseguire l’ultimo fine; l’uomo deve conoscere tutti i suoi doveri verso Dio, col conveniente culto che deve prestargli.

Quanto ai giansenisti, li considerava ancora più pericolosi di Lutero e Calvino: a forza di esagerare la grande purità e perfezione con la quale bisogna accostarsi alla Comunione, allontanano i fedeli da questo Sacramento, unico sostegno della nostra debolezza.

Il regalismo spingeva i Sovrani del tempo a mortificare la giusta autonomia della Chiesa, favorendo i nemici che poi li avrebbero travolti. Sant’Alfonso fu sempre devoto e sottomesso ai legittimi Sovrani (che spesso restavano dei buoni cattolici), ma non approvò certo la scelte dei loro ministri, come la soppressione dell’Ordine dei Gesuiti, necessari per l’educazione della gioventù; la gioventù, tolta ai Gesuiti, doveva cadere nelle mani degli increduli… I “novatori” volevano estirpare i Gesuiti, per eliminare così il baluardo della Chiesa. Di lì a poco le forze anticristiane avrebbero scatenato la rivoluzione del 1789. Un giorno, alla presenza dei Padri Corrado e d’Agostino, profetò l’invasione francese con queste testuali parole: un gran guaio ha da passare Napoli nel 1799: ed è pur buona cosa che io non mi ci troverò.

Non ci si trovò, ma il suo esempio, la sua predicazione, le sue opere contribuirono a conquistare i cuori generosi del popolo del Sud che, guidato dal Cardinale Fabrizio Ruffo, ingrossò i ranghi di quell’Armata Cristiana e Reale della Santa Fede che in pochi mesi riconquistò il Regno, restituendolo nelle mani di Ferdinando IV di Borbone.

Fu autore di numerose canzoncine, concepite come vera e propria forma di apostolato: l’universalmente conosciuta Tu scendi dalle stelle, Quanno nascette Ninno (in lingua napoletana) e tante altre. Dal 1762 al 1775 fu vescovo di Sant’Agata dei Goti.

Nel 1779 una tremenda eruzione del Vesuvio stava seminando il panico nella popolazione. Portato su una sedia a rotelle alla finestra prospiciente il vulcano in azione esclamò: Dio mio, non avevo mai visto niente di simile!... Si raccolse in preghiera, fece un grande segno di croce…il Vesuvio si calmò.

Morì, confortato dalla visione della Madonna, il 1° agosto 1787 a Pagani, dove è sepolto.

Giuseppe Savoia
28 gennaio 2008