Un destino simile accomuna i Pellerossa ai Meridionali d'Italia. Questi furono chiamati “Briganti”, furono uccisi, torturati, incarcerati, umiliati. Si contarono 266 mila morti e 498 mila condannati. Uomini, donne, bambini, anziani subirono la stessa sorte. Processi manovrati o assenti, esecuzioni sommarie, confische dei beni. Ma i Meridionali erano cittadini di uno Stato molto ricco. Il Piemonte dei Savoia era fortemente indebitato con Francia e Inghilterra e doveva rimpinguare le proprie finanze. Il governo della monarchia sabauda, guidato dallo scaltro Camillo Benso conte di Cavour, progettò la più grande rapina della storia moderna: cominciò a denigrare il popolo Meridionale per asservirlo e invaderne il territorio: il Regno delle Due Sicilie, lo Stato più civile e pacifico d'Europa.
I vincitori furono spietati. Imposero tasse altissime, rastrellarono gli uomini per il servizio di leva obbligatoria (già facoltativo nel Regno delle Due Sicilie); si comportarono vigliaccamente verso la popolazione e verso il regolare ma disciolto esercito borbonico, che insorsero. Ebbe inizio la rivolta dei Briganti e dei contadini. Le leggi repressive furono simili a quelle emanate a danno dei Pellerossa. Le bande di briganti che lottavano per la loro terra avevano un pizzico di dignità e di ideali, combattevano un nemico invasore grazie anche al sostegno delle masse contadine, tradite dalle false promesse dell’“eroico” mercenario e massone, Giuseppe Garibaldi.
Contrariamente ad altre interpretazioni, non intendo comparare il fenomeno del Brigantaggio post-unitario alla Resistenza partigiana del 1943-1945. Per varie ragioni, anzitutto perché nel primo caso si trattò di una vile aggressione militare, di una guerra di rapina e di conquista che ebbe una durata molto più lunga della guerra civile tra fascisti e antifascisti: l’intero decennio dal 1860 al 1870. I briganti meridionali furono costretti ad ingaggiare una strenua resistenza che provocò eccidi spaventosi, in cui vennero trucidati centinaia di migliaia di contadini e briganti, persino donne, anziani e bambini, insomma un vero genocidio perpetrato contro le popolazioni del Sud Italia. Una guerra conclusa tragicamente, dando luogo al fenomeno dell’emigrazione di massa dei contadini meridionali. Un esodo biblico, paragonabile alla diaspora del popolo ebraico. Infatti, i meridionali sono sparsi ovunque nel mondo, facendo la fortuna di molte nazioni: Argentina, Venezuela, Uruguay, Stati Uniti, Svizzera, Germania, Australia, ecc.
Se si intende equiparare ad altre esperienze storiche la vicenda del brigantaggio e la feroce repressione sofferta dal popolo meridionale, credo che l’accostamento più giusto sia quello con i Pellerossa e le guerre indiane combattute nello stesso periodo, verso la fine del XIX secolo. Guerre sanguinose che causarono stragi e delitti raccapriccianti contro i nativi nordamericani. Un genocidio dimenticato, come quello a scapito del popolo del Sud Italia. Nel contempo condivido solo in parte il giudizio circa il carattere anacronistico e antiprogressista, delle ragioni storiche, politiche e sociali, all’origine della resistenza combattuta dai briganti meridionali. In politica ciò che è vecchio è quasi sempre retrivo e conservatore. E’ in parte vero che dietro le azioni di guerriglia compiute dai briganti si riparavano gli interessi di un blocco reazionario, filo-borbonico e sanfedista. Tuttavia, inviterei ad approfondire le motivazioni e le spinte che animarono l’aspra lotta dei briganti e dei contadini
ribelli contro gli invasori sabaudi.
Non intendo annoiare i lettori con le cifre sui primati del Regno delle Due Sicilie in vari settori dell’economia, dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione ecc., né mi sembra opportuno esternare sciocchi sentimenti di nostalgia verso una società arcaica, dispotica e aristocratico-feudale, verso un passato di barbarie e oscurantismo, oppressione e asservimento delle plebi rurali del Sud. Ma un dato è certo: la dinastia sabauda era più rozza e ignorante, meno moderna di quella borbonica. Il Regno delle Due Sicilie era uno Stato più ricco e avanzato del Regno dei Savoia, tant’è vero che costituiva un boccone appetibile per le maggiori potenze europee del tempo, Francia e Inghilterra in testa. Questo è un tema complesso e controverso, che esige un approfondimento adeguato.
Concludo con una breve chiosa sulle presunte tendenze progressiste incarnate nei processi di unificazione degli Stati nazionali nel XIX secolo e dell’odierno Stato europeo. Non mi pare che tali processi abbiano assicurato un autentico progresso sociale, ideale e civile, ma hanno favorito uno sviluppo economico ad esclusivo vantaggio delle classi dominanti. Intendo dire che l’unificazione dei mercati e dei capitali, prima a livello nazionale e ora a livello europeo, non coincide con l’integrazione dei popoli e delle culture, sia locali, regionali o nazionali. Ovviamente le forze autenticamente progressiste e rivoluzionarie, devono puntare al secondo traguardo.