A Torino, un giuramento...torneremo a prendervi da uomini liberi
carta geografica del Regno di Napoli Quando vedemmo arrivare 4 cellulari pieni di celerini nella piazza di Torino, capimmo che il momento era arrivato. Stanchi dopo tante ore di viaggio ma fiduciosi, ci alzammo dai tavolini in silenzio e con un gesto d’intesa scattammo in azione. Distribuzione di bandiere, drappi, striscioni, aste, megafoni. Lavoravamo e, senza farlo notare, ci contavamo. Mentre partivano anche le interviste, fra squallidi atti di sciaccallaggio di alcuni e la splendida educazione di Domenico Iannantuoni dall’altra, capii che dovevo restare lucido. Ma vi assicuro che avrei voluto piangere di gioia. Mentre ci preparavamo a muoverci, da lontano, arrivarono anche i ragazzi pugliesi di Gianvito che col canto della vandeana ci diedero fiducia. Certo, c’eravamo tutti, ma il peso era nostro: coraggio, il coraggio di chi sa che a vincere saremmo stati tutti, ma a perdere saremmo stati soli. E con questo peso, senza voltarmi indietro feci scivolare i due striscioni davanti ai miei occhi con a capo Michele e Maurizio, impavidi e fieri di quei giovani, vanto ed orgoglio di una nuova insorgenza meridionale.

Mi inserii nel corteo come un semplice militante e solo lo sguardo di Gianluca e Francesca mi fece capire che tutto andava bene. Silenzio, ascoltavo il silenzio di quei primi passi dei Briganti a Torino: forse qualcuno stava gia urlando, ma io non sentivo, non riuscivo a sentire nulla. Un urlo, l’urlo di Pino squarciò quel silenzio: Siamo tutti Briganti… e mi voltai indietro. Finalmente , fra quella selva di bandiere vidi il mio popolo in marcia. Voi non mi crederete, non ero solo in fila. Certo, a fianco a me c’era Gianni, un ragazzo che lavorava da una settimana alla manifestazione , che non dormiva da due notti e che la domenica mattina, una volta tornati, pensò bene di andare anche al banchetto della raccolta firme organizzato dagli insorgenti che erano rimasti a Napoli… ma dall’altro lato c’erano loro: Angelo Manna, Silvio Vitale, Lucio Barone, Roberto Maria Selvaggi, Franco Nocella, Pino Tosca, Aniello de Lucia e tutti quelli che ci hanno preceduti. E il fiume Po, in controcorrente, era solcato dalle navi degli emigranti. Sì, mi direte , “sei il solito pazzo visionario”. Ma vedere Gennaro urlare a squarciagola “Garibaldi pezzo di merda” sotto la statua di Garibaldi a Torino, non era un sogno. I nostri emigranti erano tutti lì e ci guardavano da quelle navi, ci guardavano e urlavano con noi “Garibaldi pezzo di merda”. Soddisfatti, speranzosi, finalmente orgogliosi della loro terra, dei loro giovani a cui continuano a dire “non ci dimenticate”. Il corteo urlava e iniziai ad urlare anch’io, militante fra i militanti, meridionale fra meridionali, con al mio fianco un popolo orgoglioso, fatto di vivi e di morti, di giovani ed anziani, lì per le strade di Torino, a gridare sicuro “il Sud non é più la vostra colonia”. Appena 4 anni fa affiggevo dubbioso manifesti con su scritto “il Sud non SARA’ più la vostra colonia”. A farmi tornare coi piedi per terra, il solito nazionalista esaltato che disturbava il corteo, prontamente affrontato e prontamente allontanato dai poliziotti, tutti meridionali, inutile dirlo. Come si è svolta la manifestazione lo potete vedere dalle foto, quello che abbiamo gridato lo potete ascoltare dai video, quello che abbiamo provato lo potete immaginare. Negozianti che coi nostri volantini in mano uscivano e ci facevano l’occhiolino “sono 22 anni che vivo a Torino, bravi bravissimi, siamo ancora meridionali, non abbiamo dimenticato”, mi ha detto un macellaio. E noi in marcia, gridando felici il nostro orgoglio, la nostra identità. Noi che sappiamo e che agiamo, perché se chi conosce non agisce, perché chi ancora non conosce dovrebbe agire quando conoscerà la verità? Coraggio, il coraggio è la sintesi della nostra identità ora. Il coraggio di Giampaolo, che da solo in treno e poi in pullman è venuto dalla Sicilia sino a Torino per manifestare da insorgente. Il coraggio di chi e venuto in moto dalla Svizzera, il coraggio di chi da Torinese si è aggiunto al corteo perché Lombroso era uno sporco razzista.

Mi si avvicina Armando e mi ringrazia per avergli aperto gli occhi e poi Luca, Antonio ed altri di cui non ricordo il nome. Sulle ali del corteo Vittorio e Nico distribuiscono volantini a iosa, mentre tanta gente che non conosco urla “noi siamo meridionali” mentre i giornalisti, come avvoltoi, cercano la parola sbagliata, il gesto di folclore per spacciarci per pulcinella , il gesto inconsulto per additarci come esaltati. Ma sotto lo sguardo del “Capo” , la stampa ha ritirato gli artigli. Avete mai visto una pantera coi capelli lunghi? Io si. Continuiamo a sfilare, bandiere al vento. A pochi metri dal museo, ordini dall’alto ci fermano: fanno arrivare solo una delegazione: Gianluca con i gigli in mano, Michele, Duccio, pochi altri, fra cui Mario Parker che si unisce alla nostra battaglia di civiltà per far chiudere il museo razzista. Chi resta, ascolta le parole lette dal libro di Aprile: che storia bugiarda ci hanno raccontato a scuola, che infami sono stati quei “fratelli”, che bastardi. Gli occhi dei manifestanti si riempiono di rabbia e di orgoglio. La rabbia di chi è stato depredato, l’ orgoglio di chi vuole riscattarsi. Guardo tutti e tutti sono orgogliosi di essere lì, di aver dato l’esempio, di insorgere contro la rassegnazione, di aver gridato forte noi siamo il sud e guai a chi vuole continuare a umiliarci. Gli spezzeremo quelli mani luride… ma quale Unità....ma quali fratelli....Stato sfruttatore e bastardo. ora lo sappiamo: a torino siamo stati, sempre meglio soli che male accompagnati. La delegazione torna e ci avviciniamo al luogo del comizio. Parla il popolo del sud, emigranti ed insorgenti. Che abbiamo detto? che ‘sta storia adda cagna’! ora ci siamo e dovrete fare i conti con noi. e nun temimm niente a vede’ cu stu stato e coi vostri partiti. Il resto è politica, cosa che non tutti sanno cos’è. Il corteo si scioglie e prima di salire sul pullman, ci congediamo da Fernando e dai tanti insorgenti e meridionalisti che ci accompagnano: mi volto a guardare la torre sovrastante il Museo Lombrosiano..... e di nuovo mi ritrovo in un silenzio irreale i nostri briganti esposti come trofei ci guardano. Non conosciamo i volti e non conosciamo i nomi, ma credo che tutti gli Insorgenti saranno d’accordo con me: torneremo a prendervi per portarvi a casa.
E non lo faremo da schiavi, ma da uomini liberi, costi quel che costi.
Io l’ho giurato!

Nando Dicè
13 maggio 2010